La definizione di disagio scolastico è di per sé ampia e investe molti aspetti di ordine sociale culturale ed economico. Alcuni macro indicatori sono il disinteresse dello studente per il proprio percorso scolastico, la deprivazione culturale che vi sottende e la noncuranza per cose e persone.
La scuola europea di Monaco si trova ad affrontare queste problematiche a causa di ragioni differenziate, ma facilmente rilevabili.
Il primo e forse più incisivo problema è dato dallo scarso o pressoché nullo legame con il territorio sul quale la scuola sorge, con conseguente atteggiamento di utenti sradicati: la scuola si trova infatti in un quartiere residenziale a sud-est della città, ma la sua utenza proviene, nella stragrande maggioranza dei casi, da quartieri diversi e spesso anche da piccoli località della regione. Questo implica non solo un lungo percorso casa scuola, ma anche la difficoltà di instaurare relazioni con il luogo in cui in bambini e i ragazzi trascorrono la maggior parte della loro giornata e anche con i compagni stessi.
Il secondo problema è dato dall’aspetto interculturale, di per sé un’opportunità pressoché unica di conoscere altre culture europee in una scuola che per definizione e per statuto tutela le minoranze, di fatto una realtà difficile da gestire per bambini che si trovano immersi in una realtà multiculturale molto complessa, ma che si rilevano incapaci di farvi fronte se non opportunamente sostenuti da scuola e famiglia. Il rischio è quello di sentirsi sradicati dal paese di origine, che può assumere la coloritura mitica del paese ideale, ma al tempo stesso di essere incapaci di farsi accogliere nel paese ospite, in quanto cittadini di serie B. Colpisce il fatto che la difficoltà di integrazione non sia un problema solo per le classi sociali più svantaggiate, ma anche per quelle più colte ed evolute.
Il terzo problema è dato dalla presenza, nella scuola, di un’utenza rappresentata per la stragrande maggioranza da figli di funzionari, ma anche dai figli di tutti i dipendenti della scuola e dell’EPO stesso. Ne risulta un forte discrepanza socioeconomica tra gruppi di alunni, che in alcuni casi si rivela essere anche culturale, ed una forma di sofferenza malcelata da parte dei meno abbienti per i compagni più fortunati. Ne risulta non tanto un comportamento positivo, teso a cogliere l’opportunità, quanto piuttosto un atteggiamento che oscilla tra il rassegnato e l’aggressivo, derivante da una lettura negativa della realtà: “per quanto faccia non avrò mai quello che hai tu”.
Il quarto problema è dato dalla presenza di famiglie spesso molto impegnate sul piano lavorativo, poco interessate ai reali bisogni dei figli, ma molto attente al percorso scolastico, che non deve prevedere smagliature di alcun tipo. Il minimo problema rischia di diventare, quindi, fonte di forte irritazione ed insicurezza, con conseguenti ricadute negative sul benessere di bambini e ragazzi.
Il quinto problema è dato dal regolamento della scuola, che prevede il distacco del personale docente presso la stessa per nove anni, al termine dei quali è previsto il rientro ai ruoli metropolitani. Questo implica, in alcuni casi, un calo nella motivazione dei docenti, consci del fatto che la prestazione messa in atto non servirà a mantenere la posizione acquisita, con conseguente ricaduta negativa nella didattica.
Il sesto ed ultimo problema è dato dalla gestione del management, costituito da un direttore generale e da due direttori aggiunti, uno per il ciclo materno e primario, l’altro per il ciclo secondario. Il fatto che i tre direttori provengano da nazioni diverse, che possano sussistere tra loro problemi di comunicazione non solo linguistica, ma anche culturale e che la delega delle differenti responsabilità sia lasciata ad ogni singola scuola e non sia chiaramente definita dalla normativa, implica delle zone d’ombra che si riflettono sulla gestione collettiva della scuola con ricadute problematiche a livello di condivisione degli obiettivi da raggiungere nell’ambito delle competenze sociali.Scolari ed alunni che possiedono spesso un ampio bagaglio di conoscenze, mancano della capacità di trasformarle in competenze, non da ultimo perché ‘analfabeti’ da un punto di vista emotivo e sociale.
lunedì 10 maggio 2010
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